Ti cuntu e cantu viaggio poetico-sonoro dalla Sicilia al mondo …

Ti cuntu e cantu, nasce da una idea di Graziano Piazza e prende forma attraverso l’incontro fortunato col pianista Luca Ruggero Jacovella e il percussionista Simone Pulvano. Il progetto musicale si presenta come un esperimento interessante di ibridazione e di attraversamento culturale.

Il recupero, la ricerca appassionata di brani antichi della tradizione siciliana e l’interpretazione di pezzi originali, significa nutrire le radici di una appartenenza e suscitare domande. Perché la Sicilia ha attratto molteplici popoli? Forse il suo esistere al centro del Mediterraneo, in quello sconfinato mare dove sono progredite civiltà dell’antichità, l’ha identificata come un crocevia della Storia, una possibilità di accesso per gli africani e una aspirazione per l’Europa. Ma è appropriato pensare che occorra che tutto cambi perché tutto resti come prima? Se la Sicilia è stata Fenicia e Greca, Romana, Bizantina, Araba, Normanna e Sveva, Angioina e Aragonese, Spagnola, Borbonica e, infine, Italiana, forse una parte di essa appartiene a tutti noi e può essere metafora e specchio dell’Italia. Non a caso Goethe, in Viaggio in Italia ricorda che “l’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto”.

Nel solco di questa ricerca, il concerto diventa un viaggio fisico e immaginario che travalica la realtà per giungere al mito e viceversa. La metafora è la ragione dei cantastorie ,che andavano di villaggio in villaggio, nelle piazze, raccoglievano spettatori sedotti dai versi, dal cuntu, dai suoni degli strumenti, e raccontavano loro vicende attuali, e diventa lo stilema per cantare questa terra, dare voce ai suoi aspetti cupi, solari, raffinati, ascetici e pagani e scoprire l’uomo e la sua fenomenologia.
Il progetto è quindi una operazione crossover perché recupera la melodia e il pathos siciliano e lo consegna e lo realizza all’interno delle sonorità jazz, creando un mood innovativo.

L’influenza multietnica di brani come Mi votu e mi rivotu, Malarazza o A chiazza…diventa sentiero espressivo di una ricerca che volutamente, nella prassi esecutiva dell’estemporizzazione e improvvisazione jazz, trova la sua sintesi più nobile ed efficace. Un processo creativo del qui ed ora che riattualizza e contestualizza nel contemporaneo le musiche della tradizione. Brani inediti e altri storici diventano quindi, l’affresco musicale che racconta l’uomo e il suo interagire con altri uomini, nel mondo, attraverso i sentimenti, le passioni, le lotte, gli incontri, le contraddizioni, gli ideali, le separazioni e le congiunzioni, in cui ciascuno può riconoscersi.

“La vita è l’arte dell’incontro”, scriveva Vinicio de Moraes. Questo progetto rappresenta l’incontro culturale e musicale tra due terre e due mondi: la Sicilia e il jazz contemporaneo, con i suoi innesti fecondi nella world music. Far uscire questa terra dalla sua “isolitudine”, come l’aveva
efficacemente definita Gesualdo Bufalino, integrarla in questo progetto, è la nostra personale e intima vocazione che ci ha guidati fin qui.

Jazz e world music allora diventa, per noi, una prassi artistica di sconfinamento. Perché il jazz è il naturale approdo di questi canti? Il jazz è nato negli Stati Uniti d’America, melting pot straordinario di culture diverse. Allo sviluppo delle sue peculiarità “inclusive” hanno contribuito afroamericani, creoli, ebrei di origine russa, irlandesi, italiani, ecc. I flussi dei migranti italiani hanno visto proprio un grande numero di siciliani sbarcare in America, e tra questi, diversi hanno storicamente contribuito a far parte della nascente musica. Non è quindi un caso che la prima incisione in assoluto di un disco di musica jazz, avvenuta nel Febbraio del 1917, ha visto protagonista un oriundo siciliano, Nick La Rocca, leader degli Original Dixieland Jazz Band!

Ibridazione poetico-sonora perché l’errare, il vedere cosa c’è dietro l’angolo ci pone come artisti viaggiatori, che attraversano terre sconosciute. Il trio (voce, piano e percussioni) con cui proponiamo Ti cuntu e cantu è la favola di tre musicisti viaggiatori che un giorno, riproponendo e traslando una formidabile metafora di Eugenio Barba: “videro su un’altura una figura solitaria. I tre viaggiatori erano in disaccordo: il primo pensava che la persona là in alto fosse un brigante che voleva aggredirli e portar via tutti i loro valori; il secondo affermava che era un eremita, qualcuno che non voleva più avere a che fare con gli altri esseri umani; il terzo propose di salire lassù per vedere chi fosse. Così è per noi: il nostro compito è stare lassù.”
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